28 novembre 2011

SCIOPERO E PRESIDIO ALLA COOP DI VIA LAURENTINA A ROMA: MASSICCIA PARTECIPAZIONE

La partecipazione dei lavoratori della Coop di Via Laurentina (Unicoop Tirreno) allo sciopero e al presidio che ha avuto luogo all'esterno dell'unità produttiva è stata imponente, alcuni reparti del supermercato hanno sfiorato un'adesione del 100%.


L'Unione Sindacale di Base ed i lavoratori hanno reso visibile il disagio e le rivendicazioni con un colorato presidio all'esterno della struttura. I lavoratori si sono alternati senza sosta dalle ore 9.00 alle ore 19.00 e la solidarietà espressa da soci e clienti Coop è stata palese ed è li a dimostrare che le ragioni della protesta sono evidenti. Hanno partecipato al presidio anche lavoratori e delegati di altri supermercati Coop della provincia.

In chiusura alcuni reparti del supermercato sono rimasti senza copertura, la biblioteca ha spento le luci alle ore 18.00, nonostante i doppi turni che l'azienda aveva previsto per i lavoratori interinali.

La concomitanza involontaria dello sciopero con la giornata nazionale della colletta alimentare ha creato solidarietà tra le due iniziative, i lavoratori hanno organizzato una raccolta di fondi, l'USB ha fatto la sua parte, e durante il presidio una delegazione è entrata nel supermercato per fare una spesa che è stata devoluta al Banco Alimentare.

Le lavoratrici ed i lavoratori del supermercato Coop di via Laurentina, riuniti in assemblea sindacale in data 07 novembre 2011, avevano denunciato per l’ennesima volta una situazione insostenibile e lesiva dei diritti contrattuali, che da troppo tempo perdura nell’unità produttiva, proclamando lo sciopero per il 26 novembre 2011.

Si è evidenziata l’attitudine della direzione ad operare scelte unilaterali in materie quali l’organizzazione del lavoro, le turnazioni orarie e le mansioni dei delle lavoratrici e dei lavoratori, che determinano condizioni di inefficienza e di disagio lavorativo.

I lavoratori hanno manifestato, nel corso del tempo, la necessità di un rilancio di questa unità produttiva che abbia come fondamenta il coinvolgimento, la consapevolezza ed il rispetto della dignità dei lavoratori.

USB è stata a fianco dei lavoratori della Coop di via Laurentina come lo è stata per la raccolta firme di sabato 2 aprile scorso, che ha ottenuto uno straordinario risultato, in poche ore sono state raccolte oltre 600 firme, a dimostrazione che gli argomenti portati all'attenzione dai lavoratori e dall'USB hanno fondamento.

Se da una parte la Dirigenza della Coop non prende atto della situazione, i lavoratori non mollano e sono determinati a rivendicare condizioni di lavoro migliori e a difendere il supermercato Coop di via Laurentina, che è stato il primo “faro” acceso nel quartiere Laurentino.

Nel 1989, anno di apertura della struttura, nel quartiere non esisteva alcun punto di aggregazione e nessuna prospettiva occupazionale di prossimità. L’apertura del negozio Coop, all’interno del quale è presente anche una libreria/biblioteca, ha rappresentato, oltre che un indispensabile servizio al quartiere, anche il primo luogo di incontro intorno al quale sono fiorite, negli anni, innumerevoli iniziative che hanno scandito i momenti più importanti della vita del quartiere.

DIFENDIAMO IL NOSTRO LAVORO

Difendiamo la funzione sociale della Coop di Via Laurentina


26 novembre 2011

USB Lavoro Privato


26 novembre 2011

GLI ERRORI DI MPS SU ANTONVENETA E QUELLI DELLE AUTHORITY

Alla base della difficilissima situazione di MPS c'è certamente l'acquisto a premio di Antonveneta e le responsabilità del presidente Giuseppe Mussari (foto) sono evidenti

Massimo Mucchetti però indica anche altre responsabilità attribuibili alle autorità di controllo, italiane ed europee


Il Monte dei Paschi
dovrebbe fare un aumento di capitale pari al 100% del suo valore di Borsa, segno di una crisi seria. La Fondazione non è più in grado di difendere la quota di controllo. Di chi è la responsabilità?

Risposta facile: è del board, presieduto da Giuseppe Mussari, che acquistò Antonveneta per 9 miliardi, pagando un premio del 32% sul valore corrente della banca padovana. Ed è ancora dello stesso consiglio, che ha avallato acquisti di titoli di Stato in misura proporzionalmente superiore a Intesa e Unicredit per fare «carry trade» allo scopo di integrare i modesti utili dell' attività ordinaria.

Ma esiste anche una risposta meno facile e più imbarazzante. Quel premio non era certo basso, ma in Borsa ne sono girati anche di ben superiori. Più del premio è la base del prezzo che avrebbe dovuto impensierire. Antonveneta era stata oggetto di un' Opa dell' olandese Abn Amro e poi la stessa Abn era stata conquistata dallo spagnolo Santander, dalla belga Fortis e dalla Royal Bank of Scotland con l' applauso dei regolatori. Le ultime due del terzetto scalatore sono fallite, il Santander no, anche perché è riuscito a rivendere l'Antonveneta al Monte guadagnando un paio di miliardi in poche settimane.

La domanda è: dov' era la Vigilanza sulla sana e prudente gestione? E come mai la Banca d'Italia, che oggi chiede un core Tier 1 del 9%, allora autorizzava operazioni che lo portavano al 5%?

Azzardiamo una risposta: anche in Via Nazionale si credeva che i ritorni sul capitale investito tendenti al 20% avrebbero risolto tutto, invece di ancorarsi ai fondamentali in base ai quali chi fa credito non può - non deve - guadagnare più di tanto perché non può - non deve - mettere a rischio i denari degli altri con i quali opera.

I titoli di Stato. Mps ne ha comprati per compiacere Tremonti? Forse sì. O forse, come dicevamo, per migliorare il conto economico. Ma può un' operazione sul debito sovrano del proprio Paese scontare, oltre che i normali alti e bassi, svalutazioni dettate da un'Autorità sovranazionale che cambia le carte in tavola e, dopo averli consigliati come privi di rischio, li tratta peggio dei titoli tossici?

Colpe ce ne sono a Siena, ma anche a Roma, Londra e Francoforte. Ieri come oggi si continua a credere alla capacità del mercato di prezzare il rischio di controparte, nonostante le dure repliche della storia di un mercato, arena della speculazione, ieri al rialzo e oggi al ribasso.



25 novembre 2011

Massimo Mucchetti

Il Corriere della Sera


24 novembre 2011

IL CAMBIO DI TURNO IMPOSTO, SE RITORSIVO, E' ILLEGITTIMO

Nel caso di un cambio del turno imposto ad un dipendente, qualora vi sia uno stretto rapporto cronologico tra un comportamento del lavoratore stesso e la scelta datoriale ed in mancanza di prove oggettive delle ragioni tecnico-organizzative che hanno portato a tale decisione, il provvedimento di cambio del turno può considerarsi fondato su motivi disciplinari e ritorsivi ed è quindi illegittimo.

E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 3 ottobre 2011, n. 20196 , che, oltre ad annullare il cambio di turno disposto unilateralmente dal datore di lavoro per motivi effettivamente disciplinari, ha riconosciuto al dipendente il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da esso provocato.

Un operaio, dipendente di un lanificio, ricorreva al giudice del lavoro esponendo di essere sempre stato addetto al turno notturno nel reparto tessitura e che, a seguito del rifiuto di seguire altri cinque telai, oltre agli undici già attribuiti alle sue cure, era stato assoggettato ad un procedimento disciplinare che, a seguito delle sue giustificazioni, non era sfociato nell'irrogazione di alcuna sanzione.

Tuttavia, qualche giorno dopo, gli veniva comunicato il cambio di turno, da notturno a diurno, per "motivi inerenti l'attività produttiva e per evitare il verificarsi di fatti molto incresciosi". Il ricorrente riteneva che tale provvedimento di cambio del turno avesse natura ontologicamente disciplinare ed apparisse altresì ritorsivo e non giustificato da ragioni tecnico-organizzative.

A causa del cambio di turno, il lavoratore assumeva di aver contratto una patologia clinica da ansia, anche conseguente ai persistenti disturbi del sonno, che lo avevano costretto ad assumere farmaci psicotropi e sonniferi. Inoltre, sempre a causa del cambio di turno, lamentava il risarcimento del danno patrimoniale da riduzione salVerdanae di circa 300 euro mensili, conseguente alla perdita della maggiorazione per il turno notturno.

Dopo l'accoglimento del ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. e conseguente provvedimento d'urgenza di riassegnazione al turno notturno, rimasto comunque ineseguito dall'azienda, e il rigetto del ricorso da parte del Tribunale, la Corte d'Appello accoglieva la domanda dichiarando illegittimo il denunciato provvedimento di mutamento del turno, ordinando alla parte datoriale la riassegnazione del ricorrente al turno notturno e condannando la stessa parte al risarcimento del danno patrimoniale e dei danni morale ed esistenziale.

Il giudice di appello riteneva condivisibile l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il trasferimento del dipendente per incompatibilità ambientale è legittimo, ai sensi dell'art. 2103 cod. civ., in tanto in quanto il lavoratore abbia determinato con il suo comportamento una oggettiva disfunzione di carattere organizzativo, alla quale il datore di lavoro possa porre rimedio con atti organizzativi coerenti e ragionevoli, tra i quali il trasferimento. Anche in tale prospettiva, dunque, il giudice, pur non potendo entrare nel merito della scelta imprenditoriale, insindacabile ex art. 41 Cost., deve comunque operare una duplice valutazione, da un lato accertando l'oggettiva esistenza della dedotta situazione di incompatibilità ambientale, dall'altro esaminando la coerenza e la ragionevolezza del provvedimento di trasferimento adottato dal datore di lavoro. Nella specie, tuttavia, non era stata provata nessuna oggettiva disfunzione di carattere organizzativo e, a ben vedere, la dedotta incompatibilità ambientale altro non era che il conflitto tra diversi operai, tra i quali il ricorrente e l'azienda in ordine ai carichi di lavoro del turno notturno.

Peraltro, aggiungeva la Corte d'Appello, era emerso in sede istruttoria che il ricorrente, nell'ultimo periodo, controllava undici telai, cioè il numero massimo di quelli controllati da un solo lavoratore, e che, per una notte, gli era stato richiesto di seguire contemporaneamente sedici telai e di seguire i cinque telai in più nella mezz'ora di pausa, con la conseguenza che il comando aziendale era, dunque, doppiamente illegittimo, non solo sotto il profilo dell'anomalo carico di lavoro assegnato senza previo accordo con il delegato sindacale, ma anche sotto il profilo del mancato rispetto della salute del lavoratore e della sua sicurezza.

Poiché il provvedimento adottato di mutamento del turno non costituiva una scelta imprenditoriale ragionevole, la Corte territoriale concludeva per considerare illegittimo il trasferimento in esame per l'insussistenza dei presupposti di cui all'art. 2103 cod. civ. e per la sua natura ritorsiva ed ontologicamente disciplinare, rimanendo fortemente indiziante lo strettissimo rapporto cronologico tra il rifiuto del lavoratore di accettare l'assegnazione di altri telai ed il provvedimento aziendale di mutamento del turno, seguito a distanza di tre giorni dalla contestazione disciplinare, e che giunge al posto di una (altrimenti prevedibile) sanzione disciplinare che, verosimilmente, il datore di lavoro non ha irrogato perché consapevole che essa sarebbe stata illegittima, per le ragioni sopra esposte (illegittimità della pretesa aziendale di assegnare altri telai al lavoratore e legittimità del suo rifiuto).

Peraltro, evidenziava il giudice di appello, la natura disciplinare del provvedimento aziendale è svelata, oltreché dal rapporto cronologico, dal tenore letterale della stessa lettera di trasferimento, che ha valenza quasi confessoria ("per evitare il verificarsi di fatti molto incresciosi": ovverosia, come quelli accaduti appena tre giorni prima) e dal fatto di non essere il trasferimento giustificato da alcuna altra ragione tecnico-organizzativa diversa dalla pretesa incompatibilità ambientale, rilevatasi del tutto inconsistente, né da altri motivi inerenti l'attività produttiva.

Al ricorrente veniva riconosciuto anche il risarcimento del danno morale e del danno esistenziale, inteso, dal giudice di appello, il primo quale mero dolore o patema d'animo interiore ed il secondo come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva o interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tali danni erano liquidati a titolo equitativo e in misura forfettaria tenendo conto della lunga durata dell'illegittima adibizione del lavoratore al turno diurno, della natura ontologicamente disciplinare e estorsiva del provvedimento aziendale, della visibile lesione della dignità e dell'immagine professionale subite dal lavoratore nel contesto aziendale, nonché del rilevante disagio psichico e psicosomatico patito a causa dell'alterazione dell'abituale ritmo sonno/veglia e delle conseguenti ripercussioni sull'organizzazione della vita familiare e di relazione.

La società si rivolgeva con ricorso alla Corte di Cassazione, e, tra i diversi motivi di censura sollevati, contestava che il mero nesso di successione cronologica tra la contestazione degli addebiti disciplinari non seguita da alcuna sanzione ed il successivo trasferimento del dipendente potesse costituire un sicuro criterio di giudizio per ritenere il carattere effettivamente punitivo di tale trasferimento e la sua conseguente illegittimità siccome sanzione atipica.

In proposito, la Suprema Corte rileva che la Corte territoriale non ha affatto ritenuto la natura ritorsiva e di sanzione disciplinare atipica del provvedimento contestato basandosi unicamente sul criterio cronologico, ma ha fondato la sua decisione su un complesso di considerazioni, nell'ambito delle quali il rapporto cronologico tra il rifiuto da parte del lavoratore della richiesta datoriale di aumento dell'assegnazione dei telai e il provvedimento impugnato viene indicato soltanto come "fortemente indiziante".

Inoltre, l'illegittimità della richiesta datoriale è stata correttamente dichiarata sulla base della riscontrata esistenza di una prassi aziendale per la quale, prima di aumentare l'assegnazione del numero dei telai, doveva essere concluso con il delegato sindacale un apposito accordo, nella specie non verificatosi, e, al contempo, perché la parte datoriale non poteva obbligare il lavoratore a rinunciare alla pausa.

In conclusione, si ribadisce che in caso di modifica totale, repentina ed unilaterale da parte del datore di lavoro del turno di lavoro del proprio dipendente, avente fini ritorsivi, a quest'ultimo spetta il ripristino del vecchio orario ed il danno patrimoniale da lucro cessante.

La sentenza in rassegna si colloca nell'ambito di quell'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, secondo il quale, se da un lato è consentito dall'art. 2103 cod. civ. che il dipendente possa essere adibito alle mansioni, in alternativa a quelle per le quali è stato assunto, a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte e che il trasferimento del lavoratore da una unità produttiva ad un'altra possa avvenire soltanto in presenza di "comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive", dall'altro il mutamento delle mansioni o il trasferimento stesso del lavoratore assumono natura ontologicamente disciplinare ove siano ricollegabili ad una mancanza del lavoratore e non siano conseguenti all'esercizio del potere organizzatorio e gestionale del datore di lavoro.

In conformità, si è espressa la Suprema Corte in una fattispecie piuttosto suggestiva: il responsabile della vigilanza di una importante officina ferroviaria, sorpresi sette lavoratori intenti al gioco con le carte, con consistenti puntate in denaro, nei locali dello spogliatoio e durante l'orario di lavoro, ritrattava la versione dei fatti affermando di non aver visto né carte da gioco, né denaro. Per tale motivo la società instaurava nei suoi confronti un procedimento disciplinare, all'esito del quale, gli veniva irrogata la sanzione di tre giorni di sospensione, mentre, a distanza di pochi giorni, il lavoratore veniva spostato dalle mansioni di addetto alla vigilanza a quelle di addetto al magazzino.

La Corte ha dichiarato l'illegittimità sia della sanzione disciplinare, sia del mutamento di mansioni. In ordine a quest'ultime, ha affermato il principio per cui: "Ove il mutamento di mansioni equivalenti segua immediatamente ad una contestazione disciplinare e ad una prima sanzione disciplinare, senza essere accompagnata da una autonoma motivazione, in maniera tale da far ragionevolmente ritenere che il comportamento sanzionato sia stata la ragione determinante, o comunque prevalente, della sottrazione delle mansioni, non può negarsi che quel provvedimento assuma tutti i connotati ed i contenuti punitivi tipici di una sanzione disciplinare. Tale contenuto ontologicamente punitivo, di per sé idoneo ad incidere sulla immagine e dignità del lavoratore, reclama l'adozione delle cautele previste dall'art. 7 dello Statuto dei lavoratori, non potendosi negare l'interesse del lavoratore a difendere la sua dignità ed immagine di fronte ad una contestazione inesistente" (Cass. 19 novembre 1997, n. 11520).

In applicazione degli stessi criteri (anche se la Corte è addivenuta a conclusione diversa) è stata esclusa la natura disciplinare del trasferimento ad altro reparto - con mansioni equivalenti - di un lavoratore addetto alla sorveglianza, il quale, pur accusato della sottrazione di due cartoni di detersivo ed alcuni timer per lavatrici, era rimasto, all'esito degli accertamenti, immune da ogni addebito, attesa l'impossibilità di ricostruire con chiarezza i fatti, ancorché risultasse certo che il medesimo fosse restato, per un certo periodo, da solo e avesse tentato di avvicinare i colleghi per concordare una versione dei fatti. Secondo la Cassazione, tali circostanze avevano comunque minato il rapporto fiduciario e inciso negativamente sui rapporti tra colleghi di reparto, così da indurre il datore all'anzidetto trasferimento, considerato pienamente legittimo (Cass. 17 marzo 2009, n. 6462).

Volendo citare una recente decisione del giudice di merito sull'argomento (Trib. Trieste, 22 marzo 2011), si può evidenziare che è stato annullato il trasferimento disposto da una appaltatrice del servizio di pulitura degli uffici postali della Regione Friuli Venezia Giulia e della Provincia di Trieste nei confronti di una lavoratrice, la quale sosteneva che il trasferimento non era stato motivato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, e richiedeva la riassegnazione nella sede originaria. Il Tribunale non ha ritenuto provata la tesi della società, secondo la quale il trasferimento era stato imposto dalla negativa valutazione espressa dall'appaltante sul servizio espletato dalla ricorrente, di cui era stata sollecitata la sostituzione. Piuttosto, ha osservato il Tribunale, è emerso che la lamentata insoddisfacente qualità del servizio prestato dalla lavoratrice era dipeso in realtà dalle scelte organizzative operate dalla stessa datrice di lavoro, che aveva assegnato alla ricorrente numerosi uffici, ubicati anche a notevole distanza, con tempi di spostamento tra l'uno e l'altro tali da erodere significativamente il tempo disponibile per il servizio e da costringerla ad operare non soltanto alla presenza dei dipendenti della committente, già limitativa della possibilità di operare efficacemente, ma persino del pubblico.

Gli effetti della "ritorsività" dei provvedimenti presi dal datore di lavoro si fanno sentire, sotto il profilo della violazione della procedura di contestazione, ovviamente, anche sull'atto estintivo del rapporto di lavoro, ovvero sul licenziamento. Limitandoci a riportare una recente sentenza della Suprema Corte, è stato affermato che: "Il divieto di licenziamento discriminatorio - sancito dall'art. 4 della legge n. 604 del 1966, dall'art. 15 della legge n. 300 del 1970 e dall'art. 3 della legge n. 108 del 1990 - è suscettibile di interpretazione estensiva sicché l'area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia, che costituisce cioè l'ingiusta e arbitraria reazione, quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essenzialmente quindi di natura vendicativa. In tali casi, tuttavia, è necessario dimostrare che il recesso sia stato motivato esclusivamente dall'intento ritorsivo". Per tali ragioni, la Cassazione ha confermato la sentenza impugnata che, nel constatare che il licenziamento era stato disposto "a causa delle posizioni rigide e polemiche" assunte dal lavoratore nei confronti della società datrice di lavoro e rese pubbliche dalla stampa, aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento disciplinare adottato in violazione delle procedure richieste dalla legge, pur senza ritenere che il licenziamento stesso potesse essere considerato un atto vendicativo o di rappresaglia (Cass. 18 marzo 2011, n. 6282).

In effetti, già da alcuni decenni le Sezioni Unite hanno esteso, in base a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 204 del 1982, l'applicazione delle garanzie previste dal secondo e terzo comma, art. 7, L. n. 300 del 1970, (contestazione preventiva dell'addebito e successiva audizione e difesa del lavoratore incolpato) a qualsiasi tipo di licenziamento "ontologicamente" disciplinare, prescindendo cioè dalla sua espressa inclusione tra le sanzioni poste dalla normativa collettiva o predisposte dal datore di lavoro (Cass. S.U. 1° febbraio 1988, n. 935).



23 novembre 2011

CUB-FLAICA


23 novembre 2011

COOP LIGURIA CONFERMA GLI ESUBERI ALL'IPER DI SAVONA, MA SMENTISCE LICENZIAMENTI


Confermati gli esuberi all'ipercoop Il Gabbiano di Savona, ma Coop Liguria smentisce il ricorso a licenziamenti




Savona.
La Coop Liguria a seguito dell’articolo “Ipercoop, crisi e licenziamenti”, pubblicato oggi sull’edizione savonese del Secolo XIX, con una nota inviata alla nostra Redazione, conferma gli esuberi di personale all’Ipercoop “Il Gabbiano” di corso Ricci, ma smentisce in modo fermo il ricorso ai licenziamenti. Nella nota i responsabili infatti affermano che «La Cooperativa conferma la presenza di personale in esubero nell’organico dell’Ipercoop “Il Gabbiano” di Savona, a causa del calo delle vendite, determinato dalla crisi economica in atto, che interessa tutto il settore della grande distribuzione, e dalla previsione di nuove aperture». E così continuano: «Coop Liguria però, che ha sempre doverosamente informato i lavoratori sull’andamento dell’ipermercato, sia direttamente, sia attraverso le Organizzazioni Sindacali, smentisce di aver comunicato alle parti sociali l’intenzione unilaterale di ricorrere a licenziamenti».

Infine concludono dicendo che «L’incontro fra i dirigenti della Cooperativa e i sindacati, del quale si fa cenno nell’articolo del Secolo XIX, è stato convocato appunto per prendere atto delle difficoltà e cercare insieme soluzioni organizzative condivise. Coop Liguria è fiduciosa che, attraverso questo confronto, si potranno individuare le vie migliori per preservare l’occupazione e tutelare la qualità del lavoro».


23 novembre 2011

liguria 2000 News


18 novembre 2011

ESSELUNGA, TENSIONE AL PRESIDIO DI PIOLTELLO










Da un mese i lavoratori delle cooperative Safra protestano fuori dai magazzini per chiedere il reintegro delle persone licenziate e l'alleggerimento dei ritmi di carico e scarico.


Mercoledì le forze dell'ordine sono intervenute per impedire il blocco dei tir. Due feriti. Il sindaco Pd Concas: "L'azienda si faccia carico del problema"


La lotta va avanti. I lavoratori delle cooperative Safra protestano ancora fuori dai magazzini Esselunga di Pioltello. E mercoledì sera, nel polo alle porte di Milano, le forze dell’ordine sono intervenute per impedire il blocco dei tir. Non è la prima volta che il livello di tensione si alza, in un mese di presidio. Che per ora non ha ottenuto il reintegro delle 15 persone licenziate. Né l’alleggerimento dei ritmi massacranti con cui vengono caricati e scaricati gli scatoloni. Mentre il gruppo di Bernardo Caprotti continua a tenersi fuori dalla partita, ora scende in campo il sindaco del Pd, Antonio Concas: “Anche Esselunga si faccia carico del problema”.

Tra le cause che hanno scatenato la rabbia dei lavoratori, per il primo cittadino, ci sono le “vessazioni di cui sono responsabili alcuni aguzzini, delinquenti che facevano i caporali”. Una situazione complicata, che si trascina da tempo. Con i suoi 350 lavoratori, soprattutto immigrati, il Consorzio Safra gestisce alcune delle cooperative che lavorano nel centro logistico. Dopo lo sciopero dello scorso 7 novembre sono partite le prime sospensioni. Poi ci sono stati 15 licenziamenti. Fino al muro contro muro.

Il presidio va avanti senza sosta, con momenti in cui il nervosismo porta allo scontro. Come mercoledì sera, quando davanti al cancello protestavano una cinquantina di operai della Safra, appoggiati dal sindacato Si Cobas e dal centro sociale Vittoria di Milano. A loro si sono aggiunti anche studenti, lavoratori dell’azienda di componenti elettronici Jabil, realtà di Pioltello in grave crisi, e – dicono le forze dell’ordine – esponenti del mondo antagonista. In tutto circa 150 persone. Che a un certo punto hanno bloccato i camion. Gli agenti sono subito intervenuti e, per qualche istante, sono volati spintoni. Bilancio finale: due feriti medicati sul posto.

Secondo il sindaco è ora di risolvere una questione che ha anche conseguenze sull’ordine pubblico. Agli operai vanno poi garantite condizioni umane di lavoro. Ed è giusto che Esselunga dia il proprio contributo: “Chiedo che anche loro si facciano carico della soluzione del problema”, dice Concas. Il suo appello si aggiunge a quello lanciato, attraverso ilfattoquotidiano.it, dal suo predecessore sulla poltrona di primo cittadino, Mario De Gaspari. Il sindaco ha anche chiesto un incontro con Caprotti. Ma il gruppo della grande distribuzione, per ora, non cambia posizione: “Il caso riguarda esclusivamente i rapporti tra Safra e i suoi lavoratori”, è il mantra ripetuto ormai da un mese.

Il problema è più ampio per Ettore Montagna, della segreteria regionale della Filt-Cgil: “Ci sono 15 ostaggi – dice – a fronte di un migliaio di prigionieri del sistema delle false cooperative che hanno in appalto le attività di facchinaggio nei magazzini di Pioltello”. Ora, nelle trattative tra operai e Safra, sono coinvolte anche Cgil, Cisl e Uil. “Un risultato importante – dice il sindaco -. Perché la vicenda riguarda un settore difficile come quello della logistica, spesso interessato dalle infiltrazioni della criminalità organizzata”.



18 novembre 2011

Luigi Franco

Il Fatto Quotidiano


17 novembre 2011

RSU UNICOOP FIRENZE: FINE DELLE TRASMISSIONI?

Domani, venerdi 18 novembre, si svolgerà l'assemblea dei lavoratori degli uffici di Unicoop Firenze della sede di Scandicci che fa seguito a quella svoltasi nella sede di via Santa Reparata il 26 ottobre

Dopo che la Responsabile Relazioni Risorse Umane ha spedito una lettera ai delegati sindacali nella quale si attesta che le RSU da gennaio non saranno più riconosciute dalla Cooperativa, affiora il concreto rischio di restare senza rappresentanza sindacale a partire da gennaio prossimo in tutto il gruppo Unicoop Firenze

Nonostante questo la Filcams-Cgil pare contraria al sacrosanto svolgimento delle elezioni avocando alla segreteria le competenze delle Rsu, in un momento assai delicato, come quello attuale con il rinnovo in corso del contratto integrativo aziendale che sta per entrare nella sua fase cruciale

Ecco come riporta puntualmente la vicenda, presentando l'assemblea di domani, il blog Rsu Uffici:



Venerdì 18 si svolgerà presso la sede di Scandicci la seconda delle assemblee programmate nel corso dell'incontro sindacale avuto con i Lavoratori il 19 ottobre scorso. In quell'occasione l'Assemblea chiese esplicitamente il coinvolgimento dei segretari delle Organizzazioni sindacali (OOSS) affinché chiarissero ufficialmente ai Lavoratori lo stato di avanzamento della trattativa per il rinnovo del Contratto Integrativo Aziendale (CIA). Infatti, dopo il tentativo dei primi di luglio da parte delle OOSS e della Direzione aziendale di chiudere una volta per tutte la trattativa stessa, a distanza di quattro mesi non era stata ancora diffusa alcuna informativa.


A diffondere un clima d'incertezza e sfiducia aveva contribuito l'affissione nelle bacheche sindacali di comunicati separati delle OOSS, in particolare di Filcams-CGIL (vedi volantino dell'11 ottobre) e di Uiltucs-UIL (volantino dei primi di ottobre), che riportavano contenuti contrastanti riguardo a presunti affidamenti (impegni verbali dei segretari delle OOSS con la Direzione aziendale) dati nel corso di quei giorni di trattativa. In aggiunta, le notizie per niente rassicuranti riguardanti il tavolo per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL) della distribuzione cooperativa, ormai fermo da tempo, lasciavano intendere che la stessa fase di stallo si stesse concretizzando anche sul tavolo aziendale di Unicoop Firenze.


A rendere ancora più confuso un quadro già di per sé piuttosto complicato, aveva contribuito un commento apparso in internet che, benché anonimo, appariva piuttosto dettagliato nello specificare quali fossero gli affidamenti dati; affidamenti che per di più si discostavano in maniera importante dalla piattaforma rivendicativa approvata e votata dai Lavoratori.

Insomma, un'assemblea chiarificatrice (una Scandicci e una a Santa Reparata) appariva quanto meno necessaria.


Così è stato e il primo di quei due incontri si è svolto il 26 ottobre presso la sede di Santa Reparata (vedi verbale) con quest' ordine del giorno: CIA e rinnovo RSU.

Il protocollo prevedeva che l'o.d.g. dell'Assemblea del prossimo venerdì fosse lo stesso del 26 ottobre, ma due importanti novità (la prima emersa nel corso dell'ultima Assemblea e la seconda occorsa il 10 novembre), hanno determinato un piccolo cambio di scaletta.

Ma procediamo con ordine.


1) Novità emerse nell'Assemblea del 26 ottobre.

Prima di tutto richiamiamo brevemente alcune delle notizie apprese il 26 ottobre e già evidenziate nel verbale.


Prima di tutto abbiamo saputo che la situazione di stallo della trattativa del CCNL si era concretizzata anche nella trattativa del CIA. Purtroppo questo brusco stop non sembra una situazione di facile soluzione: l'acceso tono dei volantini cui facevamo riferimento prima e, soprattutto, l'inascoltato intervento del Presidente Biancalani lo conferma. Infatti, a giugno il Presidente del Consiglio di Gestione aveva incontrato una nutrita rappresentanza delle OOSS, cercando di richiamare tutti a un doveroso senso di responsabilità per concludere in tempi strettissimi la trattativa. Tuttavia gli incontri che sono seguiti a luglio non hanno portato a niente.


Una seconda novità che vorremmo richiamare riguarda invece la piattaforma rivendicativa. Ebbene, abbiamo preso atto che anche su questo tema le posizioni di Filcams e Uiltucs sono piuttosto distanti: mentre per Filcams la piattaforma è superata e c'è la massima disponibilità ad accantonarla, per la Uiltucs quel documento rappresenta ancora la stella polare.


Infine, si è appreso che quel commento anonimo comparso su alcuni blog era un estratto di un promemoria di 16 punti oggetto della trattativa che aspettava di essere diffuso ai Lavoratori. Da quanto si è capito quel promemoria doveva rimanere riservato (parlava degli affidamenti dati dai segretari), ma presumibilmente qualcosa è andato storto e una sua parte è stata fatta circolare prima del tempo. Il motivo del ritardo nella diffusione è adesso chiaro: gli affidamenti cui si riferiva non erano condivisi dagli stessi segretari e ciò ha provocato la rottura del tavolo aziendale. Del resto la delicatezza degli argomenti rende difficile la convergenza di posizioni.


Purtroppo manca ancora un promemoria ufficiale per comprenderli nel merito, ma in semplice elencazione gli argomenti oggetto del contendere sono: superamento della volontarietà del lavoro domenicale, salario variabile legato alla presenza, aumento del divisore, aumento a 38 ore per i dipendenti di alcuni negozi del canale minimercati e temporanea sospensione delle garanzie previste dai precedenti accordi integrativi, superamento del nastro orario, ecc


2) Novità del 10 novembre.

Veniamo adesso all'accadimento di giovedì scorso, fatto che sembra destinato a scatenare un'accelerazione alla trattazione degli argomenti nell' agenda sindacale di Unicoop Firenze.

La Responsabile Relazioni Risorse Umane della Cooperativa ha indirizzato una lettera personale a ciascun delegato informandolo che, essendo le RSU scadute ormai da tempo (marzo 2010), i permessi sindacali non saranno più riconosciuti dal gennaio 2012. Per la verità da marzo 2010 ad aprile 2011, ciascun delegato ha potuto continuare a usufruire dei permessi sindacali in forza di una proroga. Tuttavia questa proroga ad aprile non è stata rinnovata e da allora a oggi l'agibilità sindacale è stata possibile grazie ad una concessione aziendale.


In sostanza quella missiva attesta che le RSU da gennaio non saranno più riconosciute dalla Cooperativa, lasciando i Lavoratori senza rappresentanze sindacali unitarie.

Venendo a conoscenza di quella lettera, il primo pensiero sarebbe quello di aspettarsi una imminente consultazione elettorale per rinnovare le RSU. Del resto quella sarebbe, a nostro avviso, la strada più giusta da percorrere.


Tuttavia da quello che abbiamo appreso nell'Assemblea del 26 ottobre, la possibilità che si facciano subito le elezioni non sembra essere la posizione della Filcams. Inoltre resta ancora da capire quali siano le posizioni di Uiltucs e Fisascat. Non ci sarebbe da meravigliarsi infatti che l'impostazione di almeno una delle due sigle sia diversa, generando così un inutile prolungarsi dell'attuale situazione di stallo, già di per sé piuttosto pesante.

In questa situazione di veti incrociati però, sembra che la voce e l'opinione dei Lavoratori non interessi a nessuno. Per noi non è così: le opinioni dei Lavoratori devono essere alla base delle decisioni di un'organizzazione sindacale.


Per questo invitiamo tutti i dipendenti della sede di Scandicci all'Assemblea di venerdì: per partecipare attivamente e in maniera consapevole a una discussione che li riguarda in prima persona, per partecipare ad un dibattito che faccia comprendere una volta per tutte qual è la loro posizione riguardo alla possibilità di vedere le proprie RSU rinnovate e, così, nuovamente legittimate. 16 novembre 2011

VENERDI 18 NOVEMBRE

SEDE DI SCANDICCI, SALA BLU

Dalle 09:15 alle 11:30




16 novembre 2011

RSU Uffici Unicoop Firenze




16 novembre 2011

IL TEMPO PER INDOSSARE GLI INDUMENTI DI LAVORO E IL CASO ALL'IPER DI CREMA


L'episodio accaduto alla collega di Coop Lombardia riporta alla luce un argomento molto sentito dai lavoratori della GDO e di Coop: quello del tempo tuta, ricordiamo ai colleghi, fa parte dell'attività lavorativa.

Segnaliamo inoltre che
USB ha aperto una vertenza in merito in Unicoop Tirreno.

La questione non è sfuggita ad Unicoop FI, azienda sempre attenta ad iniziative di solidarietà, un pò meno accorta verso i diritti dei propri dipendenti. Uno dei punti del nuovo contratto aziendale, le cui trattative procedono a singhiozzo in attesa che si chiuda il CCNL, riguarderebbe proprio il tempo di vestizione/svestizione del lavoratore che Unicoop vorrebbe tenere per norma fuori dall'orario di lavoro (quindi nel tempo libero del lavoratore), nonostante varie sentenze della Cassazione stabiliscano il contrario.


Alla lavoratrice Ramona Guerini, addetta al Reparto Pescheria Ipercoop di
Crema gli vengono contestati dall’azienda addebiti disciplinari per non essersi presentata al lavoro all’ora stabilita e di aver abbandonato il lavoro prima dell’ora stabilita.

L’azienda le contesta: “Con la presente Le contestiamo ad ogni conseguente effetto di legge e di contratto quanto segue: in data odierna non si trovava sul posto di lavoro nel Reparto Pescheria all’ora stabilita per l’inizio delle attività, e cioè alle ore 7.00, ma arrivava alle ore 7.10 dopo 10 minuti. Sempre in data odierna, Ella abbandonava il posto di lavoro alle ore 11.53, sette minuti prima dell’ora stabilita per la cessazione delle sue attività, e cioè alle ore 12.00. Le contestiamo quindi la violazione dell’art. 191-1° comma – del vigente Ccnl. e regolamento aziendale in vigore”.

Semplicemente Ramona inizia regolarmente l’attività lavorativa come da disposizioni alle ore 7.00 timbrando con il badge. Termina l’attività lavorativa alle ore 12.00 timbrando con il badge l’uscita. Alle ore 7.00 dopo la timbratura si reca negli spogliatoi aziendali per indossare la divisa/tuta da lavoro specifica per la mansione in cui è impiegata, di addetta alla vendita e preparazione al Reparto Pescheria. Indossa all’uopo pantaloni, camice, scarpe antinfortunistiche, pettorina e cuffia, così come da disposizioni aziendali, idonee alla mansione specifica e alle procedure di sicurezza e igiene HCCP e da quanto previsto da legge. Raggiunge successivamente il Reparto Pescheria, svolgendo la mansione assegnata con diligenza e cura. Al termine del suo orario di lavoro si reca negli spogliatoi per eseguire la svestizione della divisa/tuta, riponendola con cura nell’armadietto e timbra l’uscita alle ore 12.00.

Il cambio della tuta è orario di lavoro. Indossare la tuta da lavoro in azienda, seguendo le modalità impartite dal datore, è una attività che rientra a tutti gli effetti nel tempo lavorativo che il dipendente mette a disposizione: pertanto deve essere pagato a tutti gli operai che indossano
la 'divisa' cambiandosi negli spogliatoi aziendali.

Innanzitutto, per analizzare al meglio la questione, occorre partire dal D. Lgs. n. 66 del 2003 concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro.

In particolare l’art 2 lettera a) stabilisce che “orario di lavoro è qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro, nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.

A tal proposito si ritiene, senza dubbio, che anche il tempo impiegato dal lavoratore per indossare e togliere la divisa rientri nell’ambito nel periodo in cui il lavoratore sia a disposizione del datore di lavoro, in quanto, tempo dedicato ad una determinata attività preparatoria richiestagli espressamente dal datore di lavoro e quindi retribuibile.

A sostegno di questo assunto in più occasioni si è espressa anche la giurisprudenza, che ha dichiarato che “il tempo necessario al lavoratore per raggiungere, una volta cambiato, il reparto dove, timbrato l’orologio marcatempo, inizia a svolgere di fatto la prestazione lavorativa, deve
essere retribuito poiché parte del lavoro effettivo, allorquando il dipendente sia tenuto a un tempo di percorrenza funzionale soltanto alle esigenze organizzative dell’azienda e sia assoggettato al potere direttivo, organizzativo e disciplinare della medesima.

INOLTRE, IL DATORE DI LAVORO NON PUÒ SICURAMENTE PRETENDERE CHE IL LAVORATORE INDOSSI E SI TOLGA LA DIVISA AL DI FUORI DELL’ORARIO DI LAVORO, INFATTI AL DI FUORI DI ESSO IL PRESTATORE DI LAVORO NON SOGGIACE A PROVVEDIMENTO ALCUNO DEL DATORE DI LAVORO.

La Coop Lombardia come ritorsione e con scopo intimidatorio, ha comminato alla lavoratrice, un biasimo scritto e una multa di due ore di retribuzione, dopo che, assistita dal SI COBAS, aveva motivato inoppugnabilmente le contestazioni disciplinari. Fin troppo evidente lo scopo di farla recedere e rinunciare a un diritto addirittura legalmente riconosciuto!!!

La Coop Lombardia è preoccupata che, i lavoratori inizino ad alzare la testa, a non delegare più ai pompieri confederali l’esercizio del diritto. La Coop Lombardia ha il timore, così come riferito da un loro responsabile, che questa questione si allarghi a tutte le filiali Coop Lombardia con evidente messa in discussione dei loro profitti.

Portiamo solidarietà a Ramona, iniziando tutti ad indossare gli indumenti da lavoro, in azienda e in orario di lavoro, oppure chiediamo che il tempo impiegato per indossare gli indumenti da lavoro sia retribuito come orario di lavoro. Iniziamo a chiedere ed esercitare i diritti anche attraverso il diritto di sciopero.

AIUTA TE MENTRE CI AIUTI: PRATICA LA SOLIDARIETÀ

AUTORGANIZZIAMOCI




16 novembre 2011

S.I. COBAS Coop Lombardia – Crema
  

13 novembre 2011

NASCE LA RSA DI USB ALLA COOP DI PISA-CISANELLO


Si rafforza la presenza di USB nella distribuzione cooperativa

La nuova RSA nasce nel negozio Unicoop Firenze di Pisa- Cisanello




Anche il Supermercato Coop di Pisa - Cisanello sceglie l'Unione Sindacale di Base. Questo è il segnale tangibile che i lavoratori accolgono con favore una proposta sindacale che viene dal basso e che li rende protagonisti delle proprie lotte.
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In buona parte dei lavoratori si avverte l'esigenza di una nuova rappresentanza che si contrapponga all'arroganza aziendale con decisione e senza il solito atteggiamento compiacente e schiacciato sugli interessi padronali.
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In attesa che finalmente si dia corso ad una nuova legge sulla rappresentanza, che stabilisca realmente “CHI RAPPRESENTA CHI” nei luoghi di lavoro, la nomina della nuova RSA USB è comunque una grande iniezione di energia per tutti noi e ci impegna a lavorare con sempre maggiore impegno per rendere concreti i molti obiettivi che ci siamo proposti.
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Oggi è soltanto l'inizio di un percorso fatto di momenti di formazione per la neoeletta RSA e di crescita di coscienza dei lavoratori dell’unità produttiva, attraverso un'informazione capillare e un confronto costante.
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Il primo appuntamento per l’ RSA è già programmato per venerdì 2 dicembre 2011, data dello indetto Sciopero generale di tutte le categorie pubbliche e private indetto da USB, SLAI COBAS, CIB-UNICOBAS e SNATER.
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Nei prossimi giorni USB Lavoro Privato comunicherà ad Unicoop Firenze la costituzione della Rappresentanza Sindacale Aziendale (RSA), del Supermercato Coop di Pisa - Cisanello
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Ai no
stri delegati i migliori auguri di buon lavoro.

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Roma, 13 novembre 2011

USB Lavoro privato

12 novembre 2011

PER CAMPAINI (UNICOOP FIRENZE) L'USCITA DA MPS DIVENTA POSSIBILE


Unicoop Firenze e Monte dei Paschi: si avvicina il divorzio?

Il momento drammatico della banca senese potrebbe riflettersi sulle decisioni della Coop presieduta da Turiddo Campaini




Il pezzo che segue è un estratto dell'intervista che Turiddo Campaini, presidente del consiglio di sorveglianza di Unicoop Firenze, ha rilasciato a Marcello Mancini de La Nazione.

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I passaggi che riportiamo sono particolarmente significativi per capire quelle che potrebbero essere le scelte future di Unicoop rispetto alla quota di capitale attualmente detenuta in Monte dei Paschi (3%). Vedi l'attuale composizione azionaria di Mps.
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Un tempo fu l'«investimento strategico». Campaini ha sempre sostenuto che la presenza di Unicoop nel capitale dell'istituto senese, non era un investimento qualsiasi, ma strategico, quindi funzionale a vincolare la banca al territorio, concetto che ribadisce anche nell'intervista che segue. Peccato che le sciagure che si sono abbattute su MPS negli ultimi anni, hanno visto una costante discesa del valore del titolo e hanno provocato una gigantesca perdita per Unicoop. Nel bilancio 2008, il primo bilancio in netto rosso della Coop guidata da Campaini, venne svalutata di 189 milioni la quota detenuta in Mps (da 2,52 a 1,5 euro per azione).
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Se consideriamo i corsi attuali del titolo (0,293 euro) la perdita di Unicoop su azioni MPS assume proporzioni gigantesche. Finalmente a Campaini suona l'allarme rosso, ma probabilmente non tanto per il quasi azzeramento dell'investimento in MPS, ma per lo scenario possibile che si presenta. La banca versa in condizioni difficilissime, aggravate ulteriormente dalla tempesta sui titoli di stato italiani e si paventa la possibilità di una riduzione della quota di controllo della Fondazione con l'arrivo di un
cavaliere bianco che entri significativamente nel capitale dello sfiancato istituto senese, allontanando però la banca da Siena e dal territorio.
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Di fronte a questo possibile contesto, l'investimento strategico di Unicoop non avrebbe più senso e in questa direzione vanno interpretate le parole di Campaini quando dice: "Se questi obiettivi dovessero diventare impraticabili («contribuire a mantenere le radici di Mps a Siena, estendendole alla Toscana» nota blog), il dottore non ci ha ordinato di restare nel capitale di Mps e non ha prescritto a Campaini di sedere nel Cda" e aggiunge inoltre "e credo proprio che i tempi per arrivare a sciogliere i nodi siano abbastanza vicini".
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Via da Siena, quindi? Campaini parla poco, ma ha almeno il pregio della chiarezza. L'ingresso di un nuovo socio in MPS (o il consolidamento di Axa che adesso ha una quota marginale nel capitale) salverebbe la banca, ma ne cambierebbe definitivamente la natura territoriale.

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Turiddo Campaini è una specie di "Enrico Cuccia de noantri". Silenzioso, riservato, sfuggente, uomo di grande potere come l'ex presidente di Mediobanca. Da 37 anni a capo dell'impero Unicoop, si è lasciato andare due o tre volte appena, pronunciando qualche parola che - tanto per dire - nel 2005 ha seppellito la scalata di Unipol a Bnl prima che lo facessero i magistrati. [...]

- Lei è conosciuto come "tessitore della finanza rossa", da quando disse no a Giovanni Consorte che voleva coinvolgere Unicoop nella scalata di Unipol alla Bnl. Visto ciò che è successo (Consorte condannato a tre anni, proprio una settimana fa), sentì puzza di bruciato o - come spiegò all'epoca - "una cooperativa non può essere né una banca né una società finanziaria?"

- Mi guidò una frase della mia cara maestra di scuola, "dimmi con chi vai e ti dirò chi sei"; ebbene, quella compagnia non mi piaceva e non era animata dai principi della nostra cooperativa".

- Ma i principi non le impedirono di entrare nel cda del Monte dei Paschi.

- Siamo entrati nel capitale del Monte con obiettivi precisi: contribuire a mantenere le radici di Mps a Siena, estendendole alla Toscana, e poi cercare di tirar fuori elementi sinergici su questioni che potevano servire ai nostri soci. La Toscana aveva già perso Fondiaria, le casse di risparmio di Pisa, Livorno e Lucca, la Cassa di Firenze era prevedibile che partisse, se fosse andata via anche Mps, non sarebbe rimasto un riferimento forte dal punto di vista finanziario. E sappiamo bene che dove ci sono banche, ci sono realtà economicamente più forti".

- Per il futuro?

- "Se questi obiettivi dovessero diventare impraticabili, il dottore non ci ha ordinato di restare nel capitale di Mps e non ha prescritto a Campaini di sedere nel Cda. E credo proprio che i tempi per arrivare a sciogliere i nodi siano abbastanza vicini".

- Tre anni fa lei rifiutò la candidatura a sindaco di Firenze: che effetto le fa oggi vedere Matteo Renzi, eletto dal centrosinistra, dar ragione a Marchionne invece che agli operai della Cgil?

- "Non amo le esasperazioni, credo che il meglio sia sempre nella sintesi. E comunque non ho mai visto un rottamatore che diventa costruttore di automobili. Capisco le intemperanze giovanili, però bisogna non correre il rischio di mettere l'immagine al primo posto: c'è il rischio della meteora e l'esperienza nella cooperativa mi insegna che la gente preferisce i contenuti".

- Se le chiedessero di candidarsi alle prossime elezioni?

- "Qui ha ragione Renzi: sono da rottamare".



11 novembre 2011

Marcello Mancini

La Nazione


11 novembre 2011

IL DIFFICILE RINNOVO DELLE RSU IN UNICOOP FIRENZE

Elezioni Rsu Unicoop Firenze: a quando?

In Coop Estense, che come Unicoop deve rinnovare l'integrativo, niente ha impedito alla scadenza naturale dei tre anni di rinnovare le Rsu. In Unicoop Firenze, nonostante una proroga di 20 mesi dalla scadenza, ancora non si vota. Ma forse si intravede una svolta.


Apprendiamo che in Coop Estense si sono appena svolte le elezioni per il rinnovo RSU, nei tempi previsti (scadenza dei tre anni) e senza intoppo alcuno (vedi articolo che segue). In Unicoop Firenze, al contrario, le cose funzionano diversamente.
Come di abitudine i ritardi e le proroghe concordate con i più fantasiosi espedienti, arrivano al parossismo. Stavolta siamo vicini ai 20 (venti) mesi di ritardo nella indizione delle sacrosante elezioni Rsu ! (e in passato abbiam visto di peggio...).

Questo mese, però, i delegati Unicoop si son visti consegnare una letterina in cui gli si comunica che nessun altra proroga o concessione sarà prevista oltre il 31 dicembre 2011. A consegnarla è proprio Unicoop Firenze, a firma della responsabile relazioni risorse umane, e suona come un ultimatum.

Come sappiamo l'integrativo è in fase di stallo ed Unicoop si è stancata di questa situazione inconcludente, perciò gioca l'asso nella manica. Sarà difficile trovare un nuovo accordo Rsu migliorativo rispetto a ciò che prevede il Contratto nazionale con questi presupposti (migliorativo solo per alcuni "unti dal signore", s'intende) perciò non rimane che la strada dell'applicazione del CCNL.
Questo significa che agli "unti" di cui sopra (distacchi, membri di organismi interni, coordinatori e via così..) abituati ad ampie agibilità (tradotto: MOLTISSIME ore di permesso) potrebbe palesarsi la temuta possibilità di un inatteso ritorno costante sul luogo di lavoro (spesso dimenticato, tanto lontano nel tempo).
Siamo certi che alcuni di loro staranno già sudando freddo con la letterina fra le mani!
Noi auspichiamo che ciò accada. E che si ripristini in Unicoop Firenze una democrazia sindacale vera e una rappresentanza volenterosa e sincera, senza servi e lacchè.

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Rinnovo Rsu Coop Estense


Alla scadenza naturale, cioè dopo 3 anni di mandato, tra il 12 ottobre ed il 5 novembre 2011 si sono svolte le elezioni per il rinnovo delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) in Coop Estense, che con i suoi 2.500 dipendenti è tra le prime aziende della nostra provincia per numero di addetti.

Ha partecipato al voto oltre il 77% dei 1.900 lavoratori presenti al lavoro nelle varie giornate di votazione distribuiti in 21 unità produttive (tra cui i 4 Ipermercati, la sede e 16 dei 25 negozi della provincia).

Sono stati eletti 56 delegati sindacali, 24 dei quali alla prima esperienza sindacale, 8 di loro hanno un’età al di sotto dei 30 anni, 35 sono donne, di cui 2 di origine immigrata.

A queste elezioni, come nelle ultime di 3 anni fa, ha presentato propri candidati solo il sindacato FILCAMS CGIL di Modena, in quanto di gran lunga maggiormente rappresentativo in termini di iscritti, ma anche perché le altre sigle sindacali preferiscono ricorrere alla nomina dei propri rappresentanti (RSA). Quindi i 56 delegati sindacali Filcams/Cgil sono stati tutti eletti direttamente dai lavoratori.

“E’ un risultato che ci soddisfa ampiamente – commentano Rosa Dammicco e Greco Golinelli della Filcams Cgil di Modena – perché riteniamo queste votazioni un grande momento di democrazia e di verifica della rappresentatività vera per la nostra Organizzazione in questa importante realtà della grande distribuzione”.

“E’ sempre importante e significativo verificare la volontà dei lavoratori di eleggere i propri rappresentanti e diventa un momento di crescita per tutti coloro che hanno manifestato la decisione di impegnarsi in questa esperienza sindacale” continuano i sindacalisti.

“Il nostro ringraziamento – dicono i sindacalisti – va a tutti coloro che hanno votato e anche a quei lavoratori e lavoratrici delle varie commissioni elettorali che hanno permesso la realizzazione delle votazioni garantendone trasparenza e massima regolarità. Auguriamo un buon lavoro a tutti i 56 nuovi delegati”.

(FILCAMS CGIL Modena)


9 novembre 2011

Bologna 2000


08 novembre 2011

SCANDALO SPIONAGGIO ALLA COOP LOMBARDIA ANCHE IL VICEPRESIDENTE NEI GUAI


L’azienda ha sempre detto di essere all’oscuro del piano. Il pm non la pensa così

Per gli impianti la HiTech Security presenta una fattura da 345mila euro alla Coop





Non solo un ex dipendente infedele. Nell’inchiesta sullo spionaggio ai danni dei dipendenti Coop finisce anche il vicepresidente Lombardia, Daniele Ferrè. Nei giorni scorsi, il pm Francesca Celle, infatti, ha notificato al manager un «avviso di conclusione indagine», l’anticamera della richiesta di rinvio a giudizio. A Ferrè vengono contestati i reati di «interferenza illecita nella vita privata» e «cognizione illecita di conversazioni telefoniche». Reati non proprio bazzecole, prevedono fino a 4 anni di carcere, e sarebbero stati commessi fino al giugno 2009, in concorso con altri due indagati: l’ex responsabile della sicurezza Coop, Massimo Carnevali e il responsabile di una società di tecnologie investigative, Alberto Rancarani.

Lo scandalo è scoppiato nel gennaio del 2010, quando sul quotidiano Libero (un giornalista è indagato oltre che di diffamazione anche di aver diffuso materiale coperto dalla privacy), compaiono una serie di conversazioni strettamente private, effettuate al telefono dell’ufficio del direttore della Coop di Vigevano. I nastri, hanno scoperto le indagini, erano stati intercettati all’interno di un progetto partito nel 2004. «L’idea iniziale», ha svelato a verbale un indagato, «era di intervenire su una cinquantina di punti vendita». In realtà il progetto illegale è iniziato solo a Vigevano. Attraverso un meccanismo informatizzato, i vertici lombardi di Coop, secondo l’ipotesi della procura, avrebbero ascoltato le telefonate dei propri dipendenti. Un lavoro che ha portato l’agenzia di Rancarani, nel 2009, a emettere una fattura da 345 mila euro a Coop, che però non è stata mai saldata.

Fino a oggi, i vertici del colosso cooperativo, hanno più volte dichiarato di essere all’oscuro del piano. Il pm Celle, con il coinvolgimento di Ferrè, non sembra pensarla allo stesso modo. Nel fascicolo è allegato anche un altro atto che rivela un precedente. Nel gennaio 2010, il Ministero del Lavoro ha inviato un rapporto in cui si denuncia il presidente della Coop Lombardia, per violazione della privacy. Durante un controllo nella sede di via Quarenghi, gli ispettori si sono accorti che era presente un sistema di videosorveglianza interno che violava i patti sindacali. Per il numero uno Coop Lombardia, la disavventura, si è chiusa con il pagamento di una sanzione amministrativa.



8 novembre 2011

Emilio Randacio

La Repubblica.it


06 novembre 2011

UNICOOP A PONTIGNALE NESSUNA CERTEZZA

Ancora incertezze di Unicoop sulla realizzazione di quello che inizialmente doveva essere un mega centro commerciale di proporzioni simili a quello de "I Gigli"

La linea di ridimensionare gli iper, come Unicoop sta facendo, non poteva non passare anche sull'enorme struttura di Pontignale che mostra ancora una volta un'azienda dalla visione strategica non molto lungimirante e assai incerta


Nessuna anticipazione da parte di Unicoop sul progetto che delineerà la composizione e le dimensioni della nuova struttura che a Pontignale si attende ormai da molti armi. Quello che è
certo, al momento, è che i tecnici sono al lavoro per mettere insieme tutte le istanze di un mercato e di una clientela che da quindici anni a questa parte sono profondamente cambiati.

“Le previsioni iniziali risalgono ormai a molti anni fa, quando gli orizzonti e le condizioni del mercato e della concorrenza erano assai diverse”, spiega Claudio Vanni, responsabile Relazione esterne di Unicoop. “Ci stiamo confrontando con l'amministrazione comunale per capire quale tipo di investimento potrebbe rivelarsi più appropriato per quell'area, che noi abbiamo sempre considerato e continuiamo a considerare strategica”.
Inevitabili secondo Vanni ipotizzati cambiamenti rispetto al progetto originario di 10 mila metri quadrati da superficie commerciale dedicata all'alimentare e di 15 mila di non alimentare. “La tipologia di struttura che Unicoop aveva immaginato anni orsono”, continua, “non risulta più attuale alla luce delle mutate condizioni generali. Cambiamenti che non si possono certo definire di poco conto e che vanno valutati in tutte le loro implicazioni”.

Nessun'altra informazione arriva da Vanni, neanche sull’eventuale scelta di partner commerciale per la gestione della parte adibita a non alimentare. Il riserbo, a riguardo, è totale. “Al momento non possiamo dire di più, ma la Cooperativa sta lavorando attivamente all’elaborazione del progetto definitivo”.

Niente trapela quindi da Unicoop su quello che i residenti e tutti i cittadini di Scandicci debbano aspettarsi per il prossimo futuro. "Dobbiamo vagliare attentamentele diverse soluzioni”, conclude Vanni. “E scegliere la soluzione che risponda al meglio alle richieste del mercato”.

La speranza dei cittadini, che da anni ormai vedono quell’area recintata senza che alcun segnale dia concretezza a un qualsiasi progetto, è che l’attesa duri ancora poco.


4 novembre 2011

Beatrice Paci

Il Nuovo Corriere di Firenze