31 gennaio 2012

OPERAI SOTTOPAGATI E POI LICENZIATI, LA MAGISTRATURA INDAGA PRIMAFROST

Asl e ispettori setacciano l’azienda di trasporto di surgelati di Valdaro (MN) dopo le denunce sulle condizioni di lavoro insostenibili

Le prime conferme


MANTOVA. Un muro contro muro d’altri tempi per il quale ora è scesa in campo anche la magistratura. Non scende la tensione alla Primafrost, l’azienda che trasporta surgelati dallo stabilimento di Valdaro che la settimana scorsa aveva chiuso le porte ai venti operai iscritti alla Cisl che protestavano per scarsa sicurezza e stipendi irregolari. Ieri il capo della procura di via Poma, Antonino Condorelli, ha annunciato l’apertura di un’inchiesta sulle condizioni della Primafrost.

Un’azione figlia della serie di esposti ricevuti negli ultimi due mesi, soprattutto dalla Fit-Cisl, che si era rivolta anche alla Direzione provinciale del lavoro (l’ex ispettorato) e all’Asl. E sono proprio questi due enti ad aver già fatto scattare una serie di controlli nello stabilimento di Valdaro, dove fino a giovedì lavoravano i venti operai ai quali è stato comunicato che la loro cooperativa (la Bbs di Bresso, gruppo Login) ha perso l’appalto, ora affidato alla Azzurra.

Secondo il sindacato è solo un pretesto: «Le due cooperative fanno riferimento allo stesso consorzio e gli operai sono gli stessi – aveva attaccato il segretario della Fit-Cisl Emmanuele Monti – semplicemente, così come più volte minacciato, l’azienda ha lasciato a casa tutti quelli che non hanno accettato di lasciare il sindacato e smettere di protestare per lo sfruttamento a cui sono sottoposti. Non a caso il licenziamento è scattato all’indomani dell’autodenuncia per evasione alla Guardia di Finanza». E per chi ha accettato di stracciare la tessera della Cisl il posto in azienda è rimasto.

In piedi senza protezione su ponteggi alti 4-5 metri, scarpe anti-infortunistica rattoppate con il nastro adesivo, straordinari pagati come semplici rimborsi per alleggerire buste paga e tasse, mancato riconoscimento per un lavoro a 30 gradi sotto zero che dura fino a 13-14 ore al giorno: queste le condizioni in cui si opera alla Primafrost secondo i dipendenti, che hanno documentato il tutto con un ampio dossier fotografico allegato alla denuncia.

Medicina del lavoro e ispettori (con il nucleo dei carabinieri distaccato a Dosso del Corso) nei giorni scorsi sono stati a Valdaro e ora stanno chiudendo le rispettive relazioni da consegnare alla Procura. Al setaccio i contratti di assunzione, le buste paga, il rispetto della legislazione sul lavoro e la sicurezza nello stabilimento.

Non c’è ancora nulla nero su bianco, ma nella sostanza la polizia giudiziaria avrebbe trovato la conferma di quanto denunciato dal sindacato e dagli operai. Le relazioni di Asl e Ispettorato potrebbero arrivare in Procura già entro la settimana. Poi toccherà al pm valutare e decidere come procedere.

IL SILENZIO DELL'AZIENDA.Titolari e dirigenti di Primafrost hanno scelto questa strada, nonostante da settimane la loro azienda sia al centro dell’attenzione con accuse pesantissime da parte del sindacato e ora abbia addosso anche gli occhi della magistratura. Il primo a sbattere contro il muro del silenzio è stato il segretario della Fit-Cisl Emmanuele Monti, che ha fatto sapere di non essere mai riuscito a parlare con il titolare Giulio Luigi Lombardini.

Nelle ultime ore, oltre ad essersi negati al telefono alla Gazzetta che cercava informazioni, i responsabili di Primafrost hanno respinto anche l’invito al dialogo della Provincia. Palazzo di Bagno ha cercato di contattare l’azienda, che però ritiene di non dover dare spiegazioni né di dover rispondere al telefono.

«Questa situazione è indegna – torna ad affondare la vicepresidente Giovanna Martelli, che ieri ha nuovamente incontrato i lavoratori – non ricordo di aver mai visto un atteggiamento simile da parte di un’azienda. Nei giorni scorsi abbiamo ricostruito l’assetto societario di Primafrost e cercato di parlare con i titolari, ma siamo stati respinti. Ora abbiamo acquisito le lettere di licenziamento per valutare se si possano aiutare gli operai a ottenere il reintegro. Sono disarmati e disorientati. Intanto ci siamo messi in contatto con la Regione per chiedere la messa in mobilità dei lavoratori, i cui dati sono stati girati ai Centri per l’impiego per vedere se esistano collocazioni alternative».


31 gennaio 2011

Gazzetta di Mantova



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