23 aprile 2012

LA VERTENZA DI DUE SALUMIERE RISCHIA DI FAR FALLIRE COOP LOMBARDIA

Lavoravano come esterne in un ipermercato di Como, mentre erano di fatto dipendenti. Così hanno fatto causa e hanno vinto.

Ma il colosso della distribuzione non ha pagato. E loro ora ne chiedono il fallimento

Non si può sapere quale piccola pietra smuoverà la valanga. Un detto a pennello per le due salumiere di Cantù che rischiano di far fallire niente meno che la Coop Lombardia, colosso della grande distribuzione.

Tutto nasce da una sentenza che ha sancito la violazione di alcune normative in ambito lavorativo della Coop, in uno degli ipermercati che possiede nel comasco. Causa 'somministrazione illecita di manodopera', l'azienda è stata condannata a risarcire due ex lavoratrici con circa 80mila euro l'una, oltre al versamento dei contributi per otto anni.

Una vicenda che sarebbe rimasta nell'ombra se la Coop Lombardia, che nel frattempo ha presentato appello e ricorso in Cassazione, avesse corrisposto tutto il risarcimento alle operatrici del reparto salumeria. Peccato che dal pronunciamento delle due sentenze emesse, una dal giudice del lavoro Nicola Di Leo del Tribunale di Milano il 27 gennaio 2010 e l'altra dal giudice Maria Gabriella Mennuni il 22 dicembre 2011 ad oggi, la Coop non abbia pagato la cifra completa alle due dipendenti.

Da qui la decisione degli avvocati delle due donne di rivolgersi al Tribunale della sezione fallimentare di Milano per chiedere «la dichiarazione dello stato di insolvenza ai fini dell'apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa» della Coop. Si tratta, in parole semplici, del corrispondente della procedura di fallimento per le cooperative.

L'episodio risale ancora al 2008 quando due lavoratrici, formalmente assunte da una ditta esterna con contratto di collaborazione o a progetto, ma di fatto lavoratrici alle dipendenze della Coop, hanno deciso - a seguito del licenziamento - di fare causa alla catena di ipermercati per vedersi riconosciuto il rapporto di subordinazione e ottenere le differenze contributive e retributive.

Una lunga causa di lavoro che si è conclusa con una vittoria delle due dipendenti: il Tribunale ha stabilito la sussistenza del rapporto subordinato a tempo indeterminato tra le ricorrenti e Coop Lombardia e ha condannato la catena a reintegrare le due lavoratrici nel frattempo rimaste a casa e a risarcirle. Le due donne sono riuscite infatti a dimostrare, come si legge dalla sentenza, «che subivano rimproveri e controlli da parte del personale Coop e che l'azienda non sia restata estranea ai rapporti contrattuali tra l'agenzia e l'impresa fornitrice dei prodotti, ma che abbia assunto un'ingerenza nel rapporto con le lavoratrici».

Adesso la Coop rischia grosso. Il giudice del Tribunale di Milano della sezione fallimentare Roberto Fontana ha deciso di riservarsi sulla decisione del fallimento, chiedendo all'azienda di produrre registri, bilanci e documentazione in occasione della prossima discussione. Se la Coop verrà dichiarata davvero fallita lo si saprà a giorni, ma intanto si tratta senza dubbio di un forte segnale.

«La Coop Lombardia ha violato norme particolarmente odiose essendo ricorsa alla somministrazione di manodopera al di fuori dei casi previsti tassativamente per legge che nel nostro ordinamento è anche reato penale», spiega Biagio Cartillone, il legale milanese che ha seguito le due salumiere. «La triangolazione della somministrazione illecita comporta per il committente indebiti vantaggi con trattamenti peggiorativi nei confronti delle maestranze e stravolgimento delle corrette regole della concorrenza tra le imprese. La Coop Lombardia, dopo essere stata condannata con due sentenze, cerca adesso in tutti i modi di sottrarsi all'adempimento di quanto deciso dai giudici. L'istanza di liquidazione coatta amministrativa è l'estremo tentativo per indurla ad eseguire le sentenze».


Leggi la sentenza



23 aprile 2012

Diana Cariani

L'Espresso



2 commenti:

INVASIONI BARBARICHE ha detto...

DESCLAMER, AVVISO

"Ogni parola qui di sotto espressa non si riferisce a fatti realmente accaduti e a persone realmente esiste. Il testo è di pura fantasia. Per puro caso, nomi, fatti, circostanze, che si possano riferire o far risalire a fatti reali sono coincidenze frutto di fantasie."
Il caso è veramente paradossale.

Rispecchia per molti versi quanto di peggio ci offra la famosa società civile, attualmente. Casi omonimi si ritrovano quasi certamente anche in altre realtà cooperative e imprenditoriali in genere. Voci di corridoio si rincorrono, dicerie che si confondono con la realtà Non si sa, ma sappiamo. "Fino a che sentenza non ci separi" potrebbe essere il nuove leit motive. Meglio sarebbe "Fino a che sentenza non ci sputtani" e perdonate il francesismo. Politica e affari, pubblico e privato ruotano attorno a tutto ciò. Coop fa eccezione? Per molti versi si, in Coop molti sono i punti ancora a favore dei dipendenti, e poi parliamoci chiaro il bene e il male sono bipartisan. Il problema, forse, è che Coop è sul mercato, la concorrenza avanza si fa crudele. Nel mondo, e in particolare in Europa, fatta eccezione (ad oggi) per la Santa Germania, economia e rispetto della dignità umana fanno sempre più a cazzotti. Se poi a tutto ciò aggiungiamo il condimento rappresentato da una classe dirigente "messa lì" per motivazioni distanti dalle capacità e dai meriti...il dado è tratto, i giochi sono fatti: le risultanze sono quelle sotto gli occhi di tutti. Non sappiamo se Coop Lombardia fallirà. Certamente alcuni ne sarebbero ben felici, poi..però? Basterà ciò a trasformare gli artefici del danno in agnelli? Oppure, i nuovi quadri saranno svincolati dalle tentazioni del potere, della fama (e della fame) rinunciando così (per sempre)a calpestare i diritti in nome del profitto? A quel punto se l'incantesimo avverrà saremo di fronte ad una nuova era, il mondo sarà diverso. Per adesso navighiamo a vista, una mano sugli occhi e una s salvaguardia del sedere.

Tutto ciò esprimendo rispetto per le colleghe di Coop Lombardia e augurando loro un epilogo favorevole e il totale. risarcimento, loro dovuto.

Lavoratori Unicoop ha detto...

Il titolo è una forzatura giornalistica, per evidenziare la maldestra e non professionale gestione delle dinamiche vertenziali in Coop Lombardia. Infatti per quanto concerne il rischio di fallimento della Coop guidata dal vendoliano Galardi, va detto che non esiste nessun pericolo concreto. L'istituto del fallimento è riservato alle società di capitali (e le coop non sono considerate tali dal nostro ordinamento perchè sono classificate società di persone), mentre per le coop esiste l'istituto della "liquidazione coatta amministrativa", ossia il commissariamento da parte del Ministero del Lavoro, il quale può decidere la chiusura della società per liquidazione o concordare un piano di rilancio con tutti i creditori (Concordato Preventivo, come nel caso del Consorzio Etruria - vedi relativa etichetta sul blog). Coop Lombardia non si trova nelle condizioni della eventuale messa in liquidazione in quanto il patrimonio netto contabile supera (per fortuna) di gran lunga i debiti. La richiesta di "messa in liquidazione coatta" fa parte di una aggressiva strategia dei legali per costringerla a pagare quanto stabilito dalla sentenza di primo e secondo grado e di assumere alle sue dipendenze le lavoratrici coinvolte. Nel caso in cui ciò non accadesse, il giudice può ordinare il pignoramento dei beni in modo da soddisfare le spettanze delle lavoratrici. Siamo quindi nel campo delle strategie processuali per costringere Coop Lombardia a giungere a più miti consigli.
Ci si domanda piuttosto come Coop Lombardia continui a contraddistinguersi per vicende che gettano una bruttissima luce sul mondo cooperativo e i suoi valori storici di riferimento. Ci riferiamo alla vicenda delle intercettazioni:
http://lavoratori-unicoop.blogspot.it/2012/02/dipendenti-coop-spiati-vicepresidente.html
e alla vertenza vinta da alcune dipendenti per discriminazione sessuale:
http://lavoratori-unicoop.blogspot.it/2011/02/in-coop-le-donne-non-fanno-carriera-il.html